L ’anno che ci siamo lasciati alle spalle si è concluso con un apprezzabile risultato in termini di incremento del Prodotto Interno Lordo rispetto all’anno precedente Dopo gli anni orribili della pandemia infatti l’economia italiana, in base a quanto previsto da ISTAT nel suo Rapporto sulle prospettive dell’economia italiana di dicembre ha reagito positivamente con un + 3,9% e, grazie al positivo andamento dell’ultimo trimestre dell’anno, è ipotizzabile una possibile minore contrazione nel 2023 rispetto a quanto originariamente previsto dalle principali agenzie di rating internazionale.
A questa ripresa dell’economia italiana hanno contribuito i settori del Digital marketing e comunicazione, dell’Information Technology, della farmaceutica, dell’ECommerce e dell’industria metalmeccanica, che ha sostanzialmente recuperato le posizioni del 2019, ma è stato sicuramente il turismo quello che ha registrato la più significativa capacità di resilienza e di positiva reazione ad una crisi epocale. Il turismo, con il suo 13% di contributo al P.I.L. complessivo, si presenta come la realtà economica che può svilupparsi maggiormente negli anni a venire e fornire opportunità occupazionali significative vista la sua caratteristica di alto assorbimento di personale che lo qualificano come il più tipico settore labour intensive, ovvero ad alta intensità di lavoro, nonostante l’elevato livello di investimenti in Information Communication Technology che lo caratterizza
Tuttavia questa connaturata capacità d’attrazione trova la sua limitazione in un elemento strutturale di carattere prettamente salariale, che risulta condizionato dal contesto di rilevante inflazione con cui l’economia italiana e mondiale deve fare i conti. L’inflazione in Europa e nel nostro Paese (11,7% a fine 2023), a differenza di ciò che avviene negli Stati Uniti ove è definibile per ora come inflazione da domanda, è infatti un fenomeno originato sostanzialmente dall’incremento dei costi di beni e servizi indotto principalmente dalle difficoltà nel processo di approvvigionamento energetico, collegato alla guerra in Ucraina, e dalla conseguente necessità di necessario riequilibrio del sistema di produzione energetica nazionale. Tra gli effetti collaterali di questo fenomeno inflattivo, la cui manifestazione più rilevante è com’è noto un impoverimento a danno della stragrande maggioranza della popolazione, non è possibile non registrare una volontà di congelamento dei livelli salariali da parte delle aziende al fine di evitare un ulteriore incremento dei costi di produzione e dei prezzi relativi, correlata a una comprensibile reazione sindacale in senso contrario. Al problema si tenta di dare una, non ultimativa, risposta con interventi di sostegno dei redditi a carico del bilancio dello Stato tramite la riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, che impatta sul costo del lavoro e sulle retribuzioni reali dei lavoratori, come effettuato con l’ultima legge di bilancio 2023, e precedentemente con i Decreti Aiuti, riconoscendo una riduzione del due/tre per cento a seconda del livello di reddito.
Questi provvedimenti, seppure apprezzabili, non hanno tuttavia effetti sulla capacità generale di attrazione della domanda di lavoro di un settore come quello delle strutture ricettive caratterizzato ( come d’altronde la generalità dei settori economici italiani ) per decenni da un non elevato livello dei salari, solo modestamente compensati dalla diffusione dell’istituto del superminimo salariale riconosciuto alle professionalità più qualificate, e penalizzato dalla presenza di impegnativi turni di lavoro, seppure essenzialmente ricompensati da maggiorazioni retributive, necessari per la copertura ventiquattro ore su ventiquattro dell’attività alberghiera. Non deve quindi sorprendere la rilevante e crescente difficoltà di reperimento del personale, tecnicamente definito mismatching o disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, divenuta insieme al costo dell’energia un problema sempre più rilevante con cui confrontarsi. Che fare dunque per tentare di evitare che questo mondo continui a essere caratterizzato nel breve e medio termine da una non adeguata attrattività specialmente nei confronti dei giovani? A questa domanda si può dare una possibile prima risposta consistente nello sviluppo generalizzato dei contratti integrativi aziendali o contratti di secondo livello. Normalmente essi sono strutturati in modo da consentire la partecipazione dei lavoratori – effettivamente in servizio – a risultati economici quali ad esempio il fatturato, la percentuale di occupazione, il ricavo medio camere. I relativi compensi, frequentemente integrati da varie forme di welfare aziendale, sono erogati al raggiungimento degli obiettivi, e gravano sui bilanci a risultati ottenuti. Godono inoltre di un trattamento fiscale privilegiato, e infine hanno un ulteriore importante pregio: contribuiscono a rafforzare la partecipazione e l’identificazione con i destini dell’azienda per cui si lavora, e conseguentemente la capacità di fidelizzazione dei lavoratori già in forza, ma forse ancora di più ad attrarre chi è alla ricerca di una propria dimensione lavorativa.
Autore:
GIORGIO DE PASCALE
Università Milano Bicocca
Docente di “Organizzazione delle strutture ricettive“